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Forlì Noir

Forlì-Cesena

Un itinerario, alla scoperta di luoghi ed edifici che nelle diverse epoche storiche erano stati teatro di agguati e vendette, fatti di cronaca nera ed eventi cruenti, spesso avvolti nel mistero o divenuti leggendari.

  • Rocca di Ravaldino – Qui si trova il corpo di un bambino di dodici anni, morto in circostanze misteriose nel luglio del 1480. Questo bambino era Sinibaldo, unico figlio del Signore di Forlì, Pino III Ordelaffi. Il corpo non fu mai ritrovato né, a quello che risulta dalle cronache, cercato. A Sinibaldo aspettava la prosecuzione della signoria però Forlì era già promessa dal Papa al nipote, Gerolamo Riario, e Sinibaldo, da morto così come è stato da vivo, non avrebbe costituito che un intralcio.
  • Chiesa di Ravaldino – qui viene conservato il crocifisso che, fra Sei e Settecento, veniva usato in occasione delle condanne a morte.
  • Piazza Saffi – il 1° maggio 1282, i soldati della ghibellina Forlì, comandati da Guido da Montefeltro, sbaragliarono, in uno scontro assai cruento, il fior fiore dell’esercito composto da francesi e guelfi italiani, inviato dal pontefice Martino IV a sottomettere la ribelle Forlì, che così meritò la citazione dantesca di “sanguinoso mucchio” (“La terra che fè già la lunga prova e di Franceschi sanguinoso mucchio” - Dante, Inf. XXVII, 44). I caduti vennero onorevolmente sepolti, grazie all'intervento dei Battuti Neri, in una grande fossa comune e a ricordo, fu eretta una cappella, la Crocetta, in posizione quasi frontale rispetto all'attuale via Allegretti, che verrà poi demolita nel 1616. Per lunghi anni la piazza grande fu il luogo in cui avvenivano le esecuzioni capitali. Le scene raccapriccianti non mancarono, ma forse nessuna fu più atroce della difficile decapitazione di Tommaso di ser Filippo (11 dicembre 1432) il quale, affidato ad un carnefice inesperto, ricevette quattordici colpi di mannaia prima di morire. Un altro clamoroso, orrendo fiasco accadde il 19 marzo 1801, quando, sempre in piazza, fu allestita per la prima volta in città la ghigliottina, costruita dal bolognese Giuseppe Berti. I due condannati, rei d'omicidio, erano tali Miglietti e Brunini.

Questi fu il primo a mettere il collo nella lunetta, ma la lama per tre volte si abbatté sulla nuca dell'infelice senza staccarne la testa, così che il turpe lavoro fu finito col coltello, tra le urla d'orrore della folla e quelle del povero Brunini che veniva scannato come un maiale. Il Miglietti, vista la pessima prova della ghigliottina, venne fucilato ed il Berti, maldestro autore di quel lugubre trabiccolo, si prese tre mesi di galera.

  • Palazzo Malmesi – teatro del più lugubre e noto “fatto di sangue” di Forlì. Alberto Malmesi e la fidanzata Dionilla Dal Pozzo erano scomparsi dal dicembre 1914. Si parlò di fuga romantica o di un improvviso cambio di città. Nel marzo 1915, un ragazzino affermò di aver visto trasportare dalla latrina di via Maroncelli due grossi involti, simili a tappeti arrotolati da uno dei quali penzolava un braccio scarnificato. Da questa testimonianza ebbe origine il più straordinario affaire noir della città. Le indagini poliziesche furono minuziose, ed inaugurarono nella nostra sonnacchiosa città metodi di investigazione scientifica che sbalordivano.
  • Via Moroni - stradina stretta e buia prossima a Corso Garibaldi. Qui fu aggredito Michele Placucci (1782-1840)la sera del 30 marzo 1840. Una violenta coltellata gli perforò un polmone, causandone la morte, dopo una lunga agonia, il 2 aprile. Placucci sembrò d’aver riconosciuto il feritore, ma non ne rivelò il nome.
  • Palazzo del Signore – qui avviene l’episodio della defenestrazione del Conte Gerolamo Riario che rappresenta l’epilogo di una fase politica durante la quale la città di Forlì, in tutte le sue componenti sociali, tentò di scrollarsi di dosso una signoria sgradita e pericolosa. Una lunga serie di congiure era fallita, ma infine un gruppo di persone, tra le quali i fratelli Checco e Ludovico Orsi, Lodovico Pansecco, Giacomo del Ronco, decisero di evocare l'eterna lotta tra la libertà e la tirannide per motivarne l'uccisione. Checco Orsi la sera del 14 aprile 1488 si presentò al cospetto del Conte, intento a cenare nella Camera delle Ninfe. Ricorrendo ad un pretesto per avvicinarlo, gli sferrò una pugnalata al ventre e subito fu raggiunto dai complici. Una stoccata alla testa, questa volta mortale, e il Riario giacque a terra. Nel frattempo Ludovico Orsi in piazza incitava alla rivolta e alla libertà, cercando di radunare gente e scatenare l'insurrezione. Superata facilmente una prima, debole resistenza da parte dei famigliari del Conte, Checco scese le scale con un gruppo di armati. Il corpo del Conte fu gettato dalla finestra della sala sulla piazza, la terza da sinistra partendo dal lato sinistro della facciata, dove venne straziato e letteralmente fatto a pezzi. All'arrivo della folla i soldati della guardia fuggirono, lasciando che la moglie del Riario, Caterina Sforza, venisse catturata e condotta alle case degli Orsi, mentre la folla si dava al saccheggio del palazzo dei Signori.
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